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famiglie feudali sul territorio parmense e ne rappresenta il modello architettonico di riferimento,
mentre la “gran Giustizia” del 1612, con la decapitazione degli esponenti delle principali famiglie
nobili per volere del duca Ranuccio Farnese, rappresenta l’epilogo dell’intera vicenda signorile,
segnando la fine di ogni velleità autonomistica del ceto feudale. I luoghi coinvolti nel percorso
tematico “Le arti e le corti”, con le rocche di impianto quattro-cinquecentesco, costituiscono, per il
ruolo storico e per quello che oggi ne è sopravvissuto, la sede ideale per la rappresentazione del
clima culturale del rinascimento parmense. Prendendo spunto dalle peculiari vicende biografiche di
alcuni esponenti dei maggiori casati nobiliari e dal loro stretto rapporto con i luoghi si indagano i
temi caratterizzanti la vicenda cinquecentesca, che viene raccontata tramite spunti e suggestioni,
attraverso una sorta di “racconto illustrato” con finalità didattiche e divulgative, dove è il fattore
emozionale che induce a personali riflessioni. I temi oggetto di approfondimento, dalla cultura del
sacro al cerimoniale di corte, dalla committenza artistica alla cultura umanistica, dall’astrologia all’ar-
te della guerra, dall’architettura all’urbanistica, consentono di illustrare con sufficiente chiarezza un
mosaico di argomenti che complessivamente offrono una chiave di lettura del rinascimento parmen-
se e delle vicende delle corti, all’interno del quale Parmigianino si forma come uomo e come artista

   A Soragna nella Rocca Meli Lupi l’itinerario “Le arti e le corti” consente di valorizzare i frammenti
superstiti di un importante ciclo affrescato da Nicolò dell’Abate negli anni quaranta del cinquecento.
Si ricostruisce con un allestimento temporaneo la Sala d’Ercole con la riproduzione della volumetria
della stanza originaria e la ricostruzione del ciclo decorativo.

   Committente dell’opera è il marchese Gian Paolo Meli che nel 1540 –1543 chiama a Soragna il
maestro modenese a sovrintendere alla decorazione di tre stanze poste nell’ala sud-ovest della rocca
feudale. Gian Paolo Meli, nato nel 1508 da Giambattista Meli, di nobile famiglia cremonese, e da
Ippolita Ponzoni, viene presto individuato dal prozio Diofebo Lupi, ultimo del ramo diretto dei mar-
chesi di Soragna, come il possibile continuatore della famiglia. Alla morte di quest’ultimo nel 1514,
Giampaolo eredita il feudo di Soragna e il padre Giambattista occupa la rocca anticipando gli altri
pretendenti alla successione. Gian Paolo è quindi coinvolto per tutta la propria giovinezza in una
lunga disputa per il possesso del feudo, in contrasto con Bonifacio Aldigeri che, ritenendosi il
parente più prossimo del defunto Lupi, non tralascia nessuna azione per entrare in possesso del
feudo. La conferma dei diritti sul marchesato giunge a Gian Paolo Meli dall’imperatore Carlo V nel
1536, con la concessione di aggiungere al proprio il cognome Lupi. Con la morte di Gian Paolo nel
1543 termina un periodo di grandi trasformazioni nella rocca di Soragna. Per rafforzare il proprio
ruolo di signore, nei precari equilibri politici del tempo, Gian Paolo Meli Lupi, definito dal geografo
cinqucentesco Leandro Alberti nel 1581 “huomo saggio, virtuoso et dè virtuosi amatore, et un altro
mecenate”, promuove importanti trasformazioni del borgo – con la costruzione delle mura – e della
rocca feudale – con la realizzazione del giardino, la costruzione di un torrione, del belvedere sul
mastio, di logge e nuovi locali decorati da vari artisti, fra cui emerge la personalità di Nicolò
dell’Abate.

   Nel tardo settecento, con la ristrutturazione del piano nobile della Rocca e la variazione dei livelli
interni, per la creazione delle volte di copertura in sostituzione dei solai lignei rinascimentali, la sala
con il ciclo delle Fatiche d’Ercole viene suddivisa in due ambienti minori, distruggendo parte degli
affreschi di Nicolò dell’Abate. Con il coordinemento del prof. Giovanni Godi, si è eseguito il rilievo
dei locali ricavati con la tramezzatura del salone cinquecentesco, per ottenerne l’esatto sviluppo pla-
nimetrico. Si sono successivamente ridisegnati gli alzati, con la ricostruzione delle fasce affrescate,
recuperando i rapporti dimensionali attraverso la lettura dei frammenti superstiti e la sequenza delle
scene con il confronto delle sinopie. Si è ricomposto così il ciclo con le Fatiche d’Ercole, il colonna-
to e il fregio superiore con i gruppi di animali. Per la definizione della fascia basamentale delle
pareti, unica porzione del vano cinquecentesco priva di riscontri documentari, si è proceduto invece
per analogia con altri cicli del medesimo autore, quali gli affreschi nel palazzo comunale di Modena.
Nel disegno ricostruttivo sono state lasciate al neutro le superfici figurate che sono andate perdute
con i restauri settecenteschi del salone, mentre sono state riproposte le partiture geometriche del-

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