Page 53 - Antonio Canova
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Pel labbro aperto il varco:
Di sangue smunto e d’anima

 Le giace il figlio in grembo,
 Quel fior che il crudo vomere
 Svlse o l’irato nembo.
Grazia e beltà sfavillano
 Entro il mortal pallore:
 Gli occhi soavi sembrano
 Chiusi per man di Amore
Donna che il piede eburneo
 Gli unse col nardo eletto
 Curvasi a manca e all’omero
 Divino accosta il petto
Somiglia il duol, che l’agita,
 Fiume real che l’onda
 Volge spumosa ed argine
 Più non conosce o sponda.
Sul dorso in lunghe treccie
 Serpeggia il crin disciolto:
 Langue d’amore il turgido
 Seno anelante e il volto:
D’amor gli occhi fiammeggiano,
 E taciturno invano
 Parla d’amore il fervido
 Labbro e la conscia mano;
Man che s’arretra e dubita
 Toccar la palma estinta,
 Che nel piagato margine
 Di sangue ancora è tinta.
Alto indi s’erge il fulgido
 Segno che il velo offeso
 D’un Dio raccolse, e or vedovo
 E’ del divin suo peso.
Stelo assembra od arbore
 Cui tolse e fiori e fronda
 Euro sdegnato o Borea,
 Che il pigro gel diffonde:
Dinanzi al marmo lugubre
 Par che dall’auree sfere
 Mille di spirti scendano
 Ammiratrici schiere.
Pare che il dì rammentino

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