Page 20 - Antonio Canova
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a Vienna per “porre in opera il Monumento della
Principessa Cristina”.
Nell’agosto 1802, sopreso per la “improvvisa partenza”
di Canova per Parigi, vorrebbe essere con l’amico per
esaminare e discutere con lui delle “cose delle belle
Arti” come ai tempi felici del loro primo soggiorno a
Roma. A quella tensione intellettuale, ricollegabile
come abbiamo visto al dibattito illuminista sulla
“funzione”, si può riferire la preghiera di “ricercare se
si potrebbe acquistare separatamente la parte
dell’Enciclopedia che riguarda l’Architettura”, dato
che Selva ha “il primo Tomo ristampato a Padova, e vi
ritrovo del gran merito, e perciò desidererei aver la
Parigina perché sarà più corretta e con migliori rami”.
Questo desiderio conferma la sua fedeltà all’antico
rigore e quindi il distacco polemico verso i deliri e il
poco rispetto per il passato da parte dei nuovi
protagonisti dell’arte di regime.
Nel 1807 la dolorosa ferita della demolizione della
chiesa di San Giminiano (“il povero Sansovino non
avrebbe mai creduto dopo due secoli e mezzo di essere
disturbato in casa propria; poiché colà era sepolto…”)
per far posto alla “magnifica Scala” del nuovo Palazzo
Reale (“…avrei amato che ce la avessero costruita in
qualch’altra località…”) è occasione per polemizzare
contro Giannantonio Antolini “despota di ogni cosa
secondato ed anche fomentato da Mezzani ch’è suo
sostituto”. “Non avrei mai creduto – aggiunge – che
questo giovine che ha molto merito e che io ho sempre
protetto, manifestasse un carattere sì forte e sprezzante
verso le opere dei nostri Maggiori; Palladio e Sansovino
per essi sono Bambocci con Milizia alla mano; ma
vedremo se in questo secolo in cui tanto si deplora in
iscritto l’Architettura si faranno opere da poter porre di
confronto a quelle che rendono celebre la nostra Patria
e le sue Provincie. Credetemi Amico che io riconosco
un tratto benefico della Provvidenza di esser
trascurato, poiché col mio carattere soffrirei troppo ad
aver a distruggere quel che forma la storia preggevole
delle nostre arti”.
Le riserve dell’equilibrato Selva trovano un’eco
prevedibile, l’anno dopo, nello sfogo violento di
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