Page 17 - Antonio Canova
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dal pensiero di Vico, che ritroviamo nello “stile Egizio”
dei monumenti funerari del giovane Canova. Selva era
il più adatto a capire e condividere questa scelta che
ribadiva la distanza polemica dai detestati architetti
romani. In un passo, sintatticamente ancora più
contorto del solito, Quarenghi fa riferimento alla
celebre “Sacristia” vaticana, di cui “il Camporesi
nostro me n’ha mandata una idea, altamente degna del
gusto Romano, doveva il nostro Santo Padre nel
mentre la faceva demolire seppellire e l’Architetto e
tutti della sua setta nelle rovine della detta e far
cannonar la Sacristia, ben li stà, non doveva appogiare
senza maturo consiglio ed esame una fabrica che
poteva immortalare il suo nome ad un Coglione, credo
che sarà del medesimo calibro la Chiesa di Subiaco”.
Quarenghi rivela, pur nella prosa stentata e tanto poco
letteraria, una forza polemica che lo accosta a Milizia
che già da diversi anni aveva espresso le sue
preoccupazioni per lo svolgimento dei cantieri vaticani.
Scrivendo nel 1773 al conte vicentino Francesco
Sangiovanni, si era posto questa domanda: “Ma se a’
tempi di Michelangelo e di Sangallo galleggiava un
Melichino; e se un Zanrignino fu preferito a fra
Giocondo, qual meraviglia che ora faccia l’architetto
chi non sa l’architettura? Il mondo è sempre bambino,
sempre dà negli stessi errori e vuol stare al bujo”.
La presenza del “terribile” Milizia si fa ricorrente e
quasi ingombrante nell’epistolario del Selva, in
particolare nelle lettere dove riferisce a Temanza le
impressioni del suo primo soggiorno a Roma del 1778,
precedente dunque di un anno a quello di Canova.
L’incontro, forse tanto atteso, non si svolge sotto i
migliori auspici: “Ho veduto il Sig.r Milizia, secondo
me mi ricevette con poco garbo; ma il Sig.r Quarenghi
mi disse ch’è suo temperamento”. Ed infatti gli
dimostrerà presto una tale disponibilità, da non sapere
“a che attribuire tale mutazione”. Comunque Selva
conferma in altre lettere di condividere la stima di
Temanza per quell’uomo dal carattere tanto impervio,
ma che doveva attrarlo per la libertà di giudizio e la
qualità del suo impegno. Sembra condividerne le idee e
il metodo quando confessa: “Mi ritratto di ciò che dissi

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