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finava infatti col torrione d’ingresso all’edificio.      conda metà del secolo”. Però si è ignorato fino-
La porta attuale, pur se rialzata nel 1816, do-           ra che il modenese ricorse ad una incisione da-
vrebbe trovarsi nel luogo primitivo. Se l’accesso         tata 1520 del Monogrammista I.B., da un’inven-
antico fosse stato, come di norma, di dimensio-           zione di Giulio Romano, per un particolare del
ni modeste avrebbe rubato superfice soprattut-            fregio nella facciata delle Beccherie a Modena
to alla trama architettonica dipinta, non ostaco-         raffigurante “Putti vendemmiatori”22, ora nei de-
lando l’artista nell’esecuzione armonica della            positi della Galleria Estense.
seconda scena, ovvero la decima del ciclo.
                                                             Nella direzione campesca ci indussero pure
   S’è pure già accennato che il ciclo dovette            le varianti oggettive osservabili nell’esecuzione
senz’altro terminare con l’undicesima scena al-           pratica degli affreschi dopo la prima scena con
l’inizio della parete lunga a sud, quella con le          l’“Ercole fanciullo che strozza i serpenti”. Que-
finestre, e con la dodicesima scena nella spal-           ste varianti trovano ora conferma attraverso gli
letta seguente; dato che oggi sappiamo con                accenni di disegno preliminare che si scorgono
certezza che iniziava, in senso orario, alla fine         fra le impronte del colore lasciate sui muri
di questa stessa parete.                                  dalle quattro storie integre. Nella sopraccenna-
                                                          ta prima scena le tracce disegnative sono loca-
   Nel 1976 ci parve di notare in tre delle scene         lizzate soltanto nel panneggio al di sotto del
integre (quelle con “Ercole che abbatte il toro”,         braccio teso di Alcmena, ma nella penultima
“Ercole che soffoca Anteo” ed “Ercole e Caco”)            con “Ercole e Anteo” la grafìa risulta più accen-
il raffreddarsi dello stile abatiano, sicchè rite-        tuata; mentre nel particolare bovino dell’“Erco-
nemmo di dover dare credito, seppure parzial-             le e Caco” (fig. 19) il disegno possiede un vero
mente, all’antica tradizione d’archivio che dal           e proprio valore espressivo.
1695 almeno attribuì (assieme alla bibliografia
fra la fine del Seicento e il 1976) il ciclo eracleo         L’andamento circolare del tratto leggero e
al manierista cremonese Giulio Campi; una opi-            divagante, di chiara ascendenza parmigianine-
nione che ebbe una qualche eco anche nella                sca, non presenta alcun punto di contatto, ad
bibliografia successiva21. Fra i pareri verbali che       esempio, con le sinopie di Giulio Campi emer-
raccogliemmo allora va annoverato anche quel-             se da sotto gli affreschi in Santa Margherita a
lo dubbioso di Carlo Volpe, mentre i successivi           Cremona (praticamente contemporanei a quelli
studiosi del Campi se ne disinteressarono.                di Soragna); caratterizzate da strutture ben defi-
Secondo Mulazzani, “Il fatto poi che le scene             nite e da un segno a reticolo che accenna alle
siano pedissequamente esemplate su incisioni              ombre. Tale grafìa di tipo parmense è invece
del Caraglio, fa sospettare che non ci troviamo           analoga perfettamente a quella dei quattro
più nel momento creativo e sperimentale del               schizzi di Nicolò dell’Abate nella Biblioteca Ma-
primo Cinquecento, al quale appartiene Nicco-             rucelliana a Firenze23 e dei due passati per una
lò... Dovremmo dunque trovarci già nella se-              recentissima asta Christie’s a New York24, tutti

    21 Si vedano: E. LANGMUIR, op. cit., p. 785 (“... the astonishing frieze of fantastical animals from the «salone» painted
above scenes from the life of Hercules, themselves seemingly the result of collaboration between Giulio Campi and
Nicolò”, “the circumstances of Campi’s and Nicolò’s collaboration remain unknown”); A. GHIDIGLIA QUINTAVALLE, Dipinti
cremonesi del secolo XVI a Monticelli d’Ongina e a Busseto, in Scritti di storia dell’arte in onore di Ugo Procacci, Milano,
1977, v. II, p. 459; G. GODI-G. CIRILLO, op. cit., 1978, pp. 27-30; (G. CIRILLO-) G. GODI, Giulio Campi nel Parmense, in
“Gazzetta di Parma”, 14 maggio 1979, p. 3; G. CAPACCHI, op. cit., p. 382; G. MULAZZANI, op. cit., p. 173, ff. 188-191; G.
CIRILLO-G. GODI, Contributi ad Antonio Campi, in “Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona”, vol.
XXVI/2: 1975, Cremona, 1982, p. 14; G. PRAMPOLINI, op. cit., p. 101; E. QUARANTA (-B. COLOMBI-G. GODI), op. cit., pp. 34, 38,
42, 45, ediz. 1989, pp. 32, 34, 57; G. CIRILLO-G. GODI, op. cit., 1984, p. 120; D. DE GRAZIA, op. cit., p. 257, nota 5, p. 300; G.
CIRILLO-G. GODI, op. cit., 1985, p. 25; L. FORNARI SCHIANCHI, Parma. I Castelli, opuscolo a cura dell’E.P.T., Parma, 1985, p. 12;
R. ROLI, L’arte alle corti dell’Emilia Romagna, in Le sedi della cultura nell’Emilia Romagna. L’epoca delle signorie. Le corti,
Milano, 1985, p. 168; B. COLOMBI, op. cit., 1986, vol. 1, p. 256; IDEM, op. cit., 2 marzo 1990, p. 13; IDEM, op. cit., 29 giugno
1990, p. 14; E. QUARANTA, op. cit., 1994, pp. 111, 114, 116, 124-129.

    22 Cfr. S. MASSARI, Giulio Romano pinxit et delineavit, cat. della mostra, Roma, 1993, pp. XX-XXI, tav. 9; A. MEZZETTI, Per
Nicolò dell’Abate. Affreschi restaurati, cat. della mostra, Modena, 1970, pp. 16-18, f. 3 a p. 20.

    23 S. BÈGUIN, Disegni inediti di Nicolò dell’Abate per Palazzo Torfanini e un pezzo d’archivio dimenticato, in “Pro-
spettiva”, n. 33-36, 1983-1984, pp. 183-188, con ff.

    24 Christie’s, Old master drawings, cat. dell’asta, New York, 13 gennaio 1993, lt. 8, con ff.

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